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PAPAVERI E PAPERE REMIXATI IN SALSA FLOREALE

 

"BALLA ITALIANO - LA DANCE A SANREMO"
testo a cura di
Chibimario
 

Solitamente, quando si parla di musica italiana, in particolar modo durante la settimana sanremese, capita spesso di imbattersi in giornali o trasmissioni che ripetono a mo' di filastrocca il seguente concetto: <<I veri big della musica italiana, quelli che vendono di più all'estero -ovvero Ramazzotti, Pausini e Bocelli- non mettono piede a Sanremo>>.
Ora: mi piacerebbe partire proprio da questa frase, analizzandola pezzetto per pezzetto, e... smentirla. Premetto che amo la dance, ma aggiungo che i miei gusti musicali sono sufficientemente anomali (ed altrettanto eterogenei) quel tanto da farmi comporre una cassettina alternando gli Air, i Matia Bazar, Haiducii e Jobim.

Bene. Dicevamo...

...I veri big della musica italiana -Ramazzotti, Pausini, Bocelli-...
Già avrei da contestare. Malgrado le alte cifre di vendita, onestamente non riesco -pur con tutta la buona volontà- a riconoscere un qualche merito a questi tre artisti: Ramazzotti ripete la stessa canzone da 15 anni circa, Laura Pausini non abbandona il genere del "cuore di shampista", e Bocelli propone in versione massificata e pop  (inteso nel termine genuinamente originario: "popolare") la musica lirica, riempiendola di luoghi comuni e scarnificandola di qualsiasi qualità, non disponendo di una voce che gli abbia potuto permettere il salto nel mondo dell'Opera "seria".
Il fenomeno Bocelli, soprattutto, ha creato anche cloni maschili e femminili (Alessandro Safina, Filippa Giordano) tutti ancora alla ricerca di un pubblico.

 

...Quelli che vendono di più all’estero...

Niente di più sbagliato. Gli italiani che veramente vendono all'estero, e non solo in Europa o in America (che spesso vengono considerati come unici continenti dove si vendono dischi), non sono affatto Ramazzotti, Bocelli o la Pausini, bensì piccoli gruppi o cantanti (spesso modelle/i che prestano il loro bel faccino a voci altrui), nati da labels indipendenti, e smerciati poi attraverso il sistema delle licenze presso labels straniere, che trattano genere da sempre disprezzato e quindi relegato ad un ruolo di secondo piano: la dance.
Nomi come Sandy Marton, Den Harrow, Taffy, Tracy Spencer, Spagna, Black Box, 49ers, F.P.I. Project, Joy Salinas, Double Dee, Double You, U.S.U.R.A., Datura, Corona, Whigfield, DaBlitz, Bliss Team, Tony Di Bart, Eiffel 65, Benny Benassi o In-Grid non dicono nulla al pubblico sonnacchioso di Sanremo nè tantomeno alla cosiddetta 'critica specializzata', ma sta di fatto che sono riusciti a piazzare ben più di un disco in cima alle classifiche di vendita (e NON di settore) in America, in Inghilterra o nei paesi Asiatici. Vero è che il genere dance è un genere mordi-e-fuggi, da uno o due singoli e via, ma è anche vero che di fatto è, da più di 20 anni, un fiore all'occhiello della musica italiana.
Che fine fanno poi questi artisti? C'è chi si dedica alla famiglia (Tracy Spencer), chi diventa manager (Sandy Marton, Den Harrow), chi si ricicla in nuovi progetti (Bliss Team in Eiffel 65), chi si limita all'attività di producer e chi, invece -subodorando l'oblio- tenta la carta Sanremese...

 

...Non mettono piede a Sanremo...

Non si direbbe proprio: i veri big della musica italiana, quelli che vendono di più all'estero, a Sanremo ci vanno eccome.
Cominciamo con Ivana Spagna. Dopo i trascorsi da Lady Oscar Punk negli anni 80, nei 90s abbandona la dance e l'inglese, e punta tutto sulla melodia sanremese (quella del latte alle ginocchia). "Gente come noi" si rivela un successo, e i giochi sono fatti: il genere 'cuore-amore-non-mi-lasciare-che-me-defenestro' rimane talmente caro a Spagna da ripresentarsi a Sanremo più volte anche negli anni seguenti, e permettere al pubblico di ricordarla almeno 5 giorni all'anno. Ma nel 2001 una nuova inversione di marcia: Ivana ritorna alla dance in inglese con risultati grotteschi, dovuti al look militare da una parte e agli effetti del bisturi dall'altra. E finisce per diventare un'icona gay, camp e -secondo i più- definitivamente 'trash'.

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Tra il 1991 e il 1996 si affaccia sul panorama dance una vera e propria rarità: una signorina di bell'aspetto con una sua (sua!) bella voce, nonché di qualità musicali niente male. Il nome è Jamie Dee, al secolo Marina Restuccia, la quale, coadiuvata dalla produzione dei fratelli Minoia (Joy Salinas), sforna una ricca serie di singoli e perfino due album. Nel 1996 la svolta: si spoglia del look discotecaro (paillettes e tette al vento), si toglie scarpe e trucco e, col nome di Marina Rei, esordisce sul palco dell'Ariston con "Aldilà di questi anni". La marcia in più rispetto alla melassa sanremese viene apprezzata sin da subito, e tra 96 e 99 Marina imperversa con album e singoli di successo. L'ultima sua grande hit proviene proprio da Sanremo (1999), il gioiellino elettronico "Un inverno da baciare", abbinato ad un look che è una via di mezzo fra Chaka Khan, Lamù e Dee Dee Jackson. La svolta elettronica promette bene ma dura poco. Si attendono aggiornamenti.

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Nella dance esistono moltii fantasmi. Fantasmi che entrano nei corpi altrui e cantano. Succede quindi che la voce della strafigona di turno esca, in realtà, dalla bocca di qualche altra avvenente bellezza. Tra il 1994 ed il 1995, per esempio, spopolano (e non solo in discoteca) 3 canzoni di 3 artiste diverse (Corona: "The Rhythm of the night"; Playahitty: "The Summer Is Magic" e JK: "You & I"), con lo strano 'vizietto' di avere la stessa identica voce. La stessa che sentiamo dopo qualche anno a cantare lo straziante ritornello di “Dammi solo un minuto” dei Pooh ripreso dai Gemelli Diversi, e ci domandiamo: sarà Corona, Playahitty o JK? La risposta arriva proprio a Sanremo, quando una bella ragazza di colore di nome Jenny B. reclamerà -con una certa arroganza- la paternità di "The Rhythm of the night" di Corona. Il gioco è quindi svelato. Coincidenza: Jenny vince tra le Nuove Proposte con un pezzo che è più che altro un esercizio di stile scritto dai fratelli Minoia, 'quelli' di Marina Rei. E, come Spagna, anche lei finisce per accorgersi alla lunga che con la dance almeno in classifica ci entrava: tra il 2002 e il 2003 escono diversi progetti house che la ripropongono come prestavoce, mentre della sua carriera solista-raffinata si sono perse le tracce...

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Sempre a partire dal 1994 si ascolta in disco ed in radio una voce ancora più potente di quella di Jenny, anch'essa inizialmente innestata sulle fattezze di qualche altra Disco Queen. Parliamo di Alexia, che, dopo anni di gavetta come corista di Savage (suo futuro produttore col nome di Robyx) e Double You, comincia ad assaggiare il successo cantando i riff delle superhit di Ice Mc "Think About The Way" e "It's A Rainy Day". Segue carriera solista e -iniziale- successo planetario: "Me & You", "Summer Is Crazy", "Uh La La La" divengono dei veri e propri classici un po' dappertutto. Nel 2000, dopo una serie di singoli molto meno fortunati, Alexia cambia casa discografica e sale sul treno diretto a Sanremo, nella speranza di risollevare le sorti della sua popolarità. E a dirla tutta ci riesce: la sua partecipazione è una vera scossa elettrica per la manifestazione, e "Dimmi Come" si guadagna applausi a scena aperta. Passa però inosservato l'album, che sembra voler congiungere Irene Grandi e Cristina D’Avena in una manciata di brani anonimi e ben al di sotto del singolo festivaliero. Obbligatoria, dunque, una nuova immediata partecipazione, ed obbligatorio -questa volta- il primo posto. Ma "Per dire di no" non ha la verve di "Dimmi Come", e la sua inconsistenza musicale (un solo accordo lungo 3 minuti) ne pregiudica drasticamente le vendite.

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Metà anni 90. La scena pop-dance internazionale è dominata da due progetti-cult italiani che fanno capo allo stesso team di produzione: si chiamano Bliss Team e Da Blitz e, nell’arco di pochi anni, sfornano numeri 1 a ripetizione per 3 anni consecutivi (su tutti, "People Have The Power" e "Stay With Me"). Dalle ceneri di questi due gruppi nascono nel 99 gli Eiffel 65 che, forti di un incredibile successo di vendita in America, diventano in breve tempo l'icona della dance attuale. Nel 2003 presentano sul palco dell'Ariston "Quelli che non hanno età". Malgrado la poco lusinghiera posizione nella classifica di gara, il successo post-sanremese del brano è immediato, e riesce nel raro compito di aprire la strada alla lingua italiana nella dance -da sempre monopolizzata dall'inglese-.

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E veniamo al 2004. Con non una, ma ben due presenze dalle radici (molto profonde) nella dance tra i concorrenti. Cominciamo da Danny Losito, dato dai più come un esordiente. Di esordiente ha ben poco, visto che era voce ed immagine dei Double Dee che tra il 90 ed il 92 piazzano ben 3 singoli (e un album) al top delle classifiche di vendita europee. È il periodo della spaghetti-house, e titoli come "Found Love" e "People Get Up" si discostano con successo dalla massa di campionamenti e tastierine ruffiane grazie alla loro forma di canzone vera e propria con testo e ritornello. Dopo una breve esperienza coi Datura (ed altri successi: “Voo-Doo Believe”, “The Sign” e “I Will Pray") e con i Sottotono ("Solo lei ha quel che voglio"), Losito prova a sbarcare a Sanremo con il gruppo dei Kaìgo, ma viene scartato. Miglior sorte, appunto, gli tocca come solista.

Assieme a Losito partecipa quest'anno anche un gruppo che appartiene alla storia più recente, i DB Boulevard, orfani di Moony (probabile prossima candidata sanremese), e rigenerati in chiave rock sullo stile di Radiohead e Manic Street Preachers.

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Quanta fortuna ha portato Sanremo agli artisti dance? Non tanta, e non a tutti. Magari un po' di notorietà in più allargandone il bacino di utenza (Spagna e Alexia), ma generalmente è stata una lussuosa porta d’ingresso verso il grande crogiolo delle meteore. Ma, sta di fatto, il fenomeno non accenna a diminuire, e si accettano pronostici per 'chi saranno i prossimi' negli anni a venire (i Datura? Moony?).
O forse qualche pazza modella caduta in disgrazia per sopraggiunti limiti d'età che sosterrà di essere stata Jinny o Silvia Coleman?!?...